Non danno né torto né ragione. È il purgatorio dell’incompetenza che si inghiotte Calciopoli e i suoi rivoli, vicende che hanno spaccato e continuano a spaccare il calcio italiano. Vicende nelle quali le granitiche certezze iniziali sono andate crepandosi nel corso degli anni. Ma chi, in quelle crepe, intravede la possibilità di avere giustizia non riceve risposta. Né torto, né ragione, in un labirinto di rinvii ad altre corti, di prescrizioni, di un sostanziale «non sono io che devo decidere». Così tutto rimane sospeso, come se il timore di spostare un solo mattone dell’impianto, che nel 2006 affossò la Juventus, e solo la Juventus, possa poi far crollare tutto l’edificio.
Il difetto di giurisdizione
L’ultimo a ricevere una non sentenza è stato Antonio Giraudo, che era ricorso presso il Tar del Lazio e l’altro ieri si è visto rispondere con la solita supercazzola. Questa volta è il «difetto di giurisdizione» il muro che respinge. Come dire: non è che lei abbia torto, dottor Giraudo, ma non è questa la sede, riprovi allo sportello laggiù (piccolo particolare, allo sportello laggiù, Giraudo c’era già stato. Ma non importa, ci ritorni lo stesso). Nessuno entra nel merito, tutti si limitano alla forma che, per carità, nel diritto può essere sostanza, ma quando, per dieci anni, non trovi la giurisdizione giusta, un piccolo sospetto ti sovviene.