Una questione mai risolta dopo il 2006
Insomma, nessuno ha mai dato ragione alla Juventus, ma nessuno ha mai neanche ipotizzato che avesse torto: sulla questione scudetto 2006 non si è espresso nessuno dopo Guido Rossi nel 2006. L’hanno schivata tutti. E il perché è comprensibile: dallo sfortunato tempismo per cui la Procura Federale analizza le telefonate dell’Inter quando ormai le violazioni sono prescritte in poi, il problema è sempre stato quello di stare alla larga dalle sentenze di Calciopoli del 2006, di non spostare nulla, di non toccare quanto era stato frettolosamente deciso allora. Che poi non si tratta di ribaltare tutto, ma di aggiustare qualcosa, anche alla luce di nuovi fatti emersi. Niente da fare, la linea è sempre quella: prendere tempo all’infinito, chissà, magari nella speranza che tutti si stanchino e quel tombino venga definitivamente piombato. Che poi basterebbe dire: no, guardate, avete torto, non è come dite, fatevene una ragione, è giusto quello che è stato sentenziato nel 2006, ma evidentemente nessuno se la sente, anche perché quelle telefonate le hanno sentite tutti e se Palazzi aveva ipotizzato l’illecito qualche ragione poteva avercela. O no?
Né torto, né ragione
E, così, leggendo il dispositivo del Tar che ha respinto il ricorso di Giraudo ci si perde nello stesso labirinto. L’ex amministratore delegato della Juventus, radiato nel processo sportivo di Calciopoli, si chiedeva se l’inappellabilità delle sentenze sportive (garantita da una legge dello Stato del 2003) non fosse in contrasto con quanto stabiliscono le leggi dell’Unione Europea e anche la recentissima sentenza della Corte di Giustizia Europea. Ma deve leggere una risposta che dice: sì, effettivamente, la «doglianza» non è campata in aria, ma non è questa la sede dove trattarla, bisogna farlo altrove, magari proprio presso la Corte di Giustizia Europea (che però non più tardi di tre mesi fa ha già spiegato che la vede sostanzialmente come il ricorso di Giraudo). Né torto, né ragione, così all’infinito.