Il modello sportivo europeo, il calcio dei meriti, principi di equità evocati ai quattro venti ad ogni uscita pubblica, parole che scendono come petali di rosa su un quadro radioso: a leggere e ascoltare i discorsi della Uefa di Ceferin sembra di vivere in un Eden calcistico del terzo millennio, un multiverso di successo imperiale con il trionfo da celebrare sui ribelli della Superlega.
Poi però c'è la realtà orwelliana di Qatar e Arabia Saudita che si comprano ogni giorno un pezzo del gioco, un FFP sempre meno fair e sempre più play ground dei club stato, una gestione e organizzazione degli eventi che fa acqua da tutte le parti - a Istanbul la finale di Champions è stata criticata a destra e manca, quella 2022 a Parigi tra ritardi e lacrimogeni sulle famiglie ancora fa rabbia - e che ha messo la ciliegina su una torta sempre più indigesta decidendo di far giocare gli Europei Under 21 senza Var e senza l'ausilio di alcuna tecnologia, salvo metterci una pezza ora dopo la figuraccia. E comunque solo dai quarti in poi, e che prima sia la legge della giungla. Ma perché?